Il Sor Guido Mazzetti - La sua vita e il suo calcio

Un gesto d’amore filiale? Si, certo. Ma an­che un doveroso contributo alla vicenda umana e professionale di un uomo che nella storia di tutti noi - anche di quelli nati dopo - un angolo se l’è meritatamente ritagliato. Con i suoi pregi e magari pure con le sue debolezze.

Mimmi, il secondogenito di Guido, è riuscito fi­nalmente a liberarsi dall’ansia che lo ha roso nei lunghi anni di una ricerca documentaristica af­frontata qua e là per la penisola, nei luoghi ove il babbo ha lasciato precise tracce di sé. Dobbiamo dire <grazie> a Mimmi non tanto per averci fat­to riscoprire le emozioni vissute raccontando, da cronisti e da amici, una persona che abbia­mo stimato, quanto per aver rimesso a posto i tasselli di un’esistenza che non è un’isola rac­chiusa in se stessa, ma è anche, nello scorrere dei decenni, l’immagine di un’Italia alla quale, per molti versi, abbiamo il piacere di guarda­re con struggente nostalgia. Non si tratta, sia chiaro, di fare i retorici laudatori del tempo che fu. Affiora, riga dopo riga, foto dopo foto, l’Italia di un calcio più povero, meno professionistico, nient’affatto scialacquone. Di sicuro più a misu­ra d’uomo. Un calcio che proponeva, è naturale, la panoramica dei campioni e degli aspiranti ad un ambizioso contratto, comunque rivelava anche protagonisti o comprimari come Guido Mazzetti che non esitò a frugarsi in tasca per sostenere la trasferta di una squadra, il Peru­gia, a rischio di appiedamento perché i dana­ri del club erano finiti. Altri tempi, è evidente. Altre dimensioni. Altra cultura, altre ricchezze. Probabilmente più intrise di non secondari va­lori etici. Tutto vero. Sarebbe inutile affondare nei confronti tra realtà non confrontabili. Cio­nostante diciamola tutta: anche altri uomini, uomini chiamati dalla Storia a fare non solo i pedatori, ma anche i cittadini. I patrioti, se si vuole. Guido Mazzetti ha affrontato con decoro il primo ruolo (quello dei piedi) ed ha dignito­samente onorato il secondo, se è vero, come è vero, che, spinto dal desiderio di un Paese mi­gliore, si è trovato addirittura a tu per tu con il plotone di esecuzione.

Un tipo tutto pregi e virtù? Non facciamone un santino. Gli si farebbe ingiustamente torto. Mim­mi, con l’oggettività di un cronista serio, non si è limitato a fare il cantore. Avrebbe suscitato la sghignazzante reazione del babbo, pronto, lo sappiamo, ad una robusta dose di autoironia. Mimmi (che ha messo giù queste coinvolgenti pagine con l’aiuto di un collaboratore prezioso come Massimo Guidi) non ha nascosto limiti e debolezze non troppo dissimili dalle fragilità di tutto noi. Emerge, dai capitoli di un volume in­formatissimo, un <Guidarello> a tutto tondo: calciatore di accettabile pregio, allenatore dotato di acume e sagacia tattica, italiano amante del tricolore anche a costo di rischi personali, inter­locutore amabile, non insensibile ai richiami del tavolo verde e delle belle donne, sincero amico degli amici. Specie di quelli sinceri, naturalmen­te. E poi conoscitore (stimante e stimato) dei personaggi di primo piano del calcio che va dagli anni ’30 agli anni ’80.

Ed è bello che Mimmi, scusandosi per il ritardo con il quale colma oggi la lacuna dei ricordi, ri­empia ogni pagina rivolgendosi direttamente al padre: <tu facesti… tu vincesti… tu perdesti>.

E’ un dialogo ricco di sentimenti che, di sicuro, provocherà emozioni anche in chi l’uomo non l’ha conosciuto. Non può che essere così perché - giova ripeterlo - qua dentro non c’è semplice­mente la biografia di una persona, valida quanto si vuole, ma ci sono le eloquenti carrellate su un‘Italia che, certo, è il passato, ma è altresì un’Italia dotata, forse, di esempi stimolanti per migliorare il nostro presente.

Quest’opera, quindi, va conservata anche dalle Istituzioni che, in nome del pubblico interesse, hanno il dovere di garantire le migliori memorie.